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Confagricoltura lancia l’allarme sul crollo dei prezzi all’origine dei cereali. Senza un’inversione di tendenza, la prossima disponibilità dei nuovi raccolti può avere effetti devastanti sulla continuità produttiva delle imprese.
La contrazione delle produzioni è da mettere in relazione con l’eccezionale aumento delle importazioni da paesi terzi che non sono tra i tradizionali fornitori del mercato italiano. I dati Istat relativi al periodo gennaio – novembre dello scorso anno certificano che le importazioni di grano duro dalla Federazione Russa sono ammontate a circa 400 mila tonnellate. Nello stesso periodo del 2022, si attestavano appena a 32 mila tonnellate. L’aumento, quindi, è di oltre il 1.100 per cento. Allo stesso tempo, il grano duro in arrivo dalla Turchia è arrivato ad incidere per poco meno del 40% sul totale delle importazioni italiane.
Per quanto riguarda poi il grano tenero, continuano a salire le esportazioni di grano tenero dell’Ucraina verso la UE. Stando ai dati della Commissione europea, da gennaio a ottobre 2023 l’aumento è stato del 40% sullo stesso periodo dell’anno precedente.
Lo squilibrio dei mercati non è limitato all’Italia. La Lituania, ad esempio, ha deciso il blocco delle importazioni agroalimentari dalla Federazione Russa e la Polonia ha annunciato che chiederà nei prossimi giorni alle istituzioni di Bruxelles di assumere sanzioni europee nei confronti dei prodotti agroalimentari russi e bielorussi.
Nell’ambito delle discussioni in corso sul rinnovo della sospensione dei dazi e dei contingenti sulle importazioni dall’Ucraina, Confagricoltura ha chiesto di includere cereali e semi oleosi nella lista dei prodotti sensibili, per i quali è previsto il ripristino dei dazi in caso di superamento di massimali prefissati. La Commissione Agricoltura del Parlamento europeo ha accolto la richiesta, ma non basta.
La profonda crisi dei mercati in Italia e nella UE impone decisioni coraggiose anche sul piano politico. L’estensione delle sanzioni ai prodotti agroalimentari russi va presa senza riserve in considerazione, conclude Confagricoltura

Prezzi invariati per il frumento di forza (425-535 euro/t) e calo omogeneo di 2 euro a tonnellata per gli altri frumenti alla Granaria di Milano. Il panificabile superiore vale 388-398 euro a tonnellata, il panificabile e il biscottiero sono quotati 374-378 euro, il frumento per altri usi 368-373 euro. Invariato il prezzo del mais alimentare, a 415-420 euro a tonnellata, mentre il nazionale zootecnico con caratteristiche perde 4 euro a tonnellata (372-374 euro), come il nazionale (357-359).
In calo di 13 euro a tonnellata la soia nazionale, a 597-602 euro, e di 20 euro sui valori massimi la soia estera, a 600-635 euro.

Esprimiamo il nostro pieno apprezzamento e sostegno all’iniziativa lanciata dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, per sbloccare i cereali fermi nei porti dell’Ucraina ed evitare la diffusione di una crisi alimentare che in alcuni paesi africani è già in atto”.
E’ il commento del presidente della Confagricoltura Massimiliano Giansanti, alle dichiarazioni del presidente Draghi sugli esiti del colloquio telefonico con il presidente Putin in merito alle condizioni per far ripartire le esportazioni di prodotti agroalimentari dai porti sul Mar Nero.
Il blocco riguarda circa 22 milioni di tonnellate di cereali – rileva la Confagricoltura – destinati in larga misura a paesi africani ed asiatici dove i prezzi sono saliti con punte dell’80 per cento. Oltre la metà del grano gestito dal Programma alimentare della FAO veniva solitamente raccolto in Ucraina.
Le misure alternative di trasporto su strada e su ferrovia avviate in collaborazione con la Commissione europea e con gli Stati membri hanno avuto successo”, evidenzia Giansanti. “Da marzo all’inizio di maggio, secondo i dati dell’associazione degli agricoltori ucraini, le esportazioni sono passate da 500 a oltre un milione di tonnellate al mese”. “Si tratta, però, di quantitativi non sufficienti ad assicurare lo svuotamento dei silos per accogliere i nuovi raccolti tra meno di due mesi. Ecco perché la ripresa dell’attività portuale risulta fondamentale – sottolinea il presidente della Confagricolturaanche per fermare un crescente protezionismo nel commercio internazionale. Da ultimo, ad esempio, l’India ha deciso di estendere allo zucchero il blocco delle esportazioni già in vigore per il grano”.
Stando alle stime diffuse dal ministero dell’agricoltura di Kiev le ultime semine sono state inferiori di circa il 30 per cento rispetto alla media degli ultimi cinque anni. Nel 2021, le esportazioni agroalimentari dell’Ucraina sono ammontate a circa 24 miliardi di euro. Cereali e semi oleosi hanno inciso per l’84% sul totale.
Ci sarà una minore offerta di cereali e semi oleosi dell’Ucraina sui mercati internazionali”, segnala Giansanti. “Spetta ai principali Paesi produttori colmare la differenza anche per frenare l’aumento dei prezzi alimentari e dell’inflazione. Per questo ci attendiamo che la Commissione europea dia seguito senza ritardi alla richiesta della maggioranza degli Stati membri di rinviare l’entrata in vigore delle misure più restrittive del potenziale produttivo previste dalla nuova politica agricola comune”.

Cereali, semi oleosi e derivati, fertilizzanti. Si allunga la lista dei settori e delle produzioni finite sotto pressione in termini di prezzo e disponibilità a seguito della guerra in corso in Ucraina. Dal 28 aprile – fa sapere la Confagricoltura – scatterà il blocco delle esportazioni di olio di palma dall’Indonesia, primo produttore mondiale. Il blocco è stato deciso per contrastare l’aumento dei prezzi sul mercato interno che ha superato il 40% dall’inizio dell’anno. Come reazione alla decisione annunciata dal governo indonesiano i prezzi dell’olio di soia hanno raggiunto alla fine della scorsa settimana il massimo storico alla borsa di Chicago.
Va ricordato – sottolinea il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansantiche sono bloccate le esportazioni di olio di girasole dell’Ucraina e su quelle della Federazione Russa si applica da aprile una tassa del 20 per cento”. In Italia, stando ai dati dell’ISMEA, il prezzo dell’olio di girasole raffinato negli ultimi dodici mesi è passato da 1,46 a 2,87 euro a chilogrammo. “Il risultato è che in alcuni Stati membri e nel Regno Unito le insegne della grande distribuzione hanno deciso di limitare gli acquisti giornalieri di tutti gli olii vegetali”.
Il rischio di una crisi alimentare a causa del conflitto in Ucraina è stato richiamato anche dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, in occasione delle recenti riunioni al Fondo monetario internazionale”, evidenzia Giansanti. “Il governatore ha anche segnalato la necessità di un intervento degli organismi internazionali a supporto dei Paesi meno avanzati e in via di sviluppo che sono localizzati in Africa e in Asia Centrale”.
Anche l’Unione Europea deve fare la propria parte – segnala il presidente di Confagricoltura. “In primo luogo, va prorogata la facoltà concessa quest’anno di coltivare negli Stati membri i terreni a riposo produttivo che ammontano a circa 4 milioni di ettari”. “Per frenare l’inflazione alimentare, contrastare l’eccezionale aumento dei costi di produzione e contribuire alla stabilità dei mercati internazionali – continua – è indispensabile aumentare i raccolti europei di cereali e semi oleosi“. “Va anche definito quanto prima – conclude Giansanti – un Piano olivicolo nazionale. L’Italia può e deve riconquistare una posizione di primo piano per la produzione di olio d’oliva”.

La Commissione Europea ha formalmente chiesto al governo ungherese di ritirare il provvedimento con il quale, all’inizio di marzo, sono state introdotte rigide limitazioni alle esportazioni di cereali a causa della guerra in Ucraina. Nella lettera firmata dai commissari UE all’Agricoltura e al Mercato Interno – evidenzia Confagricoltura – si sottolinea che le misure varate, in sintesi la preventiva autorizzazione delle autorità statali, hanno l’effetto di un vero e proprio bando alle esportazioni. Secondo i dati della Commissione, l’Italia importa annualmente dall’Ungheria circa un milione di tonnellate di grano tenero e 1,5 milioni di tonnellate di mais. Oltre ad infrangere le regole del mercato unico, – si sottolinea nella lettera della Commissione – il decreto varato dall’Ungheria è immotivato anche sotto il profilo strettamente economico. Con una produzione di grano tenero e mais che ammonta ad oltre 200 milioni di tonnellate, l’Unione è tra i principali esportatori di cereali a livello mondiale.
Grazie ad una politica agricola comune (PAC) finora orientata sulla produzione e sulla competitività delle imprese – dichiara il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansantii rifornimenti per i cittadini europei continuano ad essere assicurati, anche se dobbiamo fare i conti con un aumento senza precedenti dei costi che, senza adeguati interventi da parte della UE e del governo, può limitare i cicli produttivi”.
L’Unione Europea ha anche una responsabilità in termini di sicurezza alimentare nei confronti dei Paesi meno avanzati – prosegue Giansanti – in un recente rapporto del WTO si rileva che in Africa e nel Medio Oriente le importazioni di grano da Ucraina e Federazione Russa coprono il 50% del fabbisogno di cereali”.
In alcuni Paesi africani già si registrano aumenti dei prezzi per i cereali tra il 50 e l’80%. Quasi la metà del grano gestito dal Programma alimentare mondiale della FAO arrivava dall’Ucraina”.
Senza un programma straordinario di aiuti, c’è il rischio di una crisi alimentare su scala internazionale che avrebbe pesanti conseguenze di ordine sociale e sul fronte dell’immigrazione clandestina”, conclude il presidente di Confagricoltura.