La notizia della riapertura delle attività ristorative al 1° giugno è un altro duro colpo per il nostro settore. Oggi più che mai il canale Ho.Re.Ca è di vitale importanza per le aziende vitivinicole, che hanno già perso irreversibilmente almeno il 30% delle vendite con danni permanenti. Per questo occorre farlo ripartire il prima possibile, pur nel pieno rispetto di tutte le misure di sicurezza e di distanziamento. Altrimenti per molte imprese del canale HoReCa ecantine italiane non ci sarà alcuna fase due”. E’ questo l’appello unanime rivolto al Governo da parte della filiera vino – che riunisce le principali organizzazioni del settore Confagricoltura, CIA, Copagri, Unione italiana Vini, Federvini, Federdoc e Assoenologi – a pochi giorni dall’adozione delle misure contenute del nuovo DPCM che dà il via libera alla cosiddetta fase due dell’emergenza coronavirus. Disposizioni sull’allentamento del lockdown che però non contemplano una rapida ripresa delle attività di bar, enoteche e ristoranti con conseguenze disastrose non solo per gli operatori del settore, ma anche per le migliaia di piccole e medie imprese del comparto vitivinicolo nazionale già alle prese con un export quasi completamente bloccato e costrette a ricorrere alle vendite online come unica, ove possibile, via per la sopravvivenza. Nell’esprimere piena solidarietà e sostegno agli operatori dell’Ho.Re.Ca e alle loro famiglie duramente colpite dal lockdown, la filiera auspica dunque che il Governo, pur nel rispetto delle indicazioni espresse dal Comitato tecnico scientifico, tenga conto delle urgenti richieste di ripartenza di questo canale e prenda in seria considerazione un ripensamento dell’impianto normativo recentemente proposto per dare una risposta concreta ad uno dei comparti più strategici e decisivi per l’economia e il turismo italiani.

L’entrata in vigore della nuova PAC potrebbe essere rimandata dal 2021 al 2023 se entro il 30 ottobre non saranno pronti nuovo bilancio UE e riforma. E’ la posizione approvata il 28 aprile dalla Commissione Agricoltura dell’Europarlamento sul regolamento transitorio della politica agricola comune che prolunga l’efficacia dei regolamenti PAC oltre il 2020. Gli eurodeputati chiedono anche un fondo anti-crisi da oltre 400 milioni di euro in aggiunta alla normale dotazione finanziaria. La posizione adottata martedì dalla Commissione agricoltura con il voto da remoto dovrà essere negoziata con il Consiglio UE: l’obiettivo è di arrivare a un accordo entro il 30 giugno.
Il protrarsi del negoziato su bilancio UE e riforma PAC ha spinto la Commissione Europea a proporre, alla fine del 2019, un periodo transitorio di un anno prima dell’entrata in vigore della nuova PAC, dal 2021 al 2022. Gli eurodeputati chiedono di fatto l’entrata in vigore nel 2023, visto che è molto improbabile che la riforma sia pubblicata in Gazzetta UE a ottobre. La commissione Agri propone inoltre che, se il budget pluriennale UE 2021-27 non fosse approvato in tempo, i tetti di spesa PAC restino quelli del 2020, mettendo di fatto gli agricoltori al riparo dai tagli proposti dalla Commissione Europea per il periodo finanziario post 2020. Tra le altre misure approvate, un accesso più facile al fondo contro le perdite di reddito degli agricoltori, la possibilità di autoregolamentazione per i produttori organizzati di olio e, per il vino, l’estensione del periodo di validità dei diritti di impianto delle viti fino al termine del periodo transitorio.

Le imprese hanno urgente bisogno di liquidità. I ritardi e le complessità burocratiche fanno salire il costo economico della pandemia”. E’ quanto ha evidenziato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, alla riunione del Comitato Direttivo di Palazzo Della Valle dedicata alla gestione dell’emergenza Covid-19.
In primo luogo – aggiunge – proponiamo il riconoscimento di un credito di imposta commisurato alle perdite di reddito subite dalle imprese, quindi l’estensione all’intero territorio nazionale degli oneri previdenziali attualmente applicati nelle zone montone”.
Giansanti ha fatto il punto sui contatti in corso con il Governo e con il mondo politico, in vista della presentazione, nei prossimi giorni, del decreto legge sui nuovi interventi per le imprese.
Stiamo mettendo l’accento sulla necessità di salvaguardare il tessuto produttivo e l’occupazione – indica Giansanti – dobbiamo farci trovare pronti per la fase di ripresa economica, senza lasciare spazio ai nostri concorrenti. Per questo chiediamo, tra l’altro, la ristrutturazione almeno a dieci anni delle posizioni fiscali e contributive pregresse, il sollecito recepimento della direttiva Ue sulle pratiche sleali, nuove risorse finanziarie per la promozione all’estero del Made in Italy agroalimentare, il miglioramento del bonus verde”.
A sostegno della ripresa, proporremo inoltre al sistema bancario un piano per il consolidamento a lungo termine dei prestiti in essere”.
Nel corso del dibattito è stata ribadita la persistente carenza di manodopera per le imminenti operazioni stagionali: “Continuiamo a svolgere tutte le possibili iniziative per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro – sottolinea Giansanti – restiamo invece in attesa delle specifiche iniziative del Governo. Deve essere chiaro a tutti che ogni giorno che passa, sale il rischio di perdita dei raccolti”.
A livello europeo, Confagricoltura considera assolutamente inadeguati i provvedimenti annunciati nei giorni scorsi dalla Commissione Europea.
Nel contesto di una crisi epocale – sottolinea Giansanti – è inaccettabile l’assenza di fondi aggiuntivi per le produzioni più tipiche dell’agricoltura mediterranea: vino, ortofrutta, olio d’oliva. Contestiamo, inoltre, la mancanza di interventi per le produzioni suinicole”.
L’emergenza sanitaria – prosegue il presidente di Confagricolturaha dimostrato che la sicurezza alimentare è un punto di forza e un elemento strategico per la coesione sociale. Va fatto ogni sforzo per l’aumento della produzione agroalimentare italiana, grazie anche a una maggiore integrazione tra tutte le parti della filiera”.
In vista della cosiddetta “fase 2”, Confagricoltura chiede di accelerare, in presenza di adeguate condizioni di sicurezza, la ripresa dell’attività del canale HoReCa per favorire il collocamento delle produzioni di settore.

Da alcune settimane si susseguono le segnalazioni di presenza di fauna selvatica, prevalentemente ungulati, nei centri abitati (immagini diffuse dai media più volte in questi giorni), come anche, purtroppo, quelle inerenti a maggiori e diffusi danneggiamenti alle coltivazioni.
Era prevedibile che la minore circolazione di mezzi e di persone avrebbe reso questi selvatici meno diffidenti e più inclini ad avvicinarsi ai centri urbani, ma il fenomeno è ancora più insistente nelle aree rurali, a cui consegue una proliferazione dei danneggiamenti ed è prevedibile che l’eventuale mancato svolgimento delle attività di controllo numerico degli ungulati accrescerà questi effetti.
In proposito”, afferma il direttore di Confagricoltura Asti, Mariagrazia Baravallequa e là in Italia, ci era stato segnalato che alcune Amministrazioni Provinciali e Regionali ritenevano che le attività di controllo della fauna selvatica non fossero configurabili come servizio pubblico o di pubblica utilità e di conseguenza stavano bloccando queste attività ma nel nostro territorio, con soddisfazione, abbiamo rilevato che la Provincia di Asti ha organizzato ed attuato comunque piani di contenimento dei cinghiali”.
A casa Confagricoltura sono rimasti quindi sbigottiti nel leggere del duro attacco che i cacciatori locali, che hanno negato la loro collaborazione all’attuazione dei piani appellandosi al rischio contagio, hanno rivolto a chi ha preso questa decisione.
Il commissario di Confagricoltura Asti, Ezio Veggia, rincara la dose: “Il mondo agricolo non si è fermato e, per il bene del Paese, ha continuato a produrre per fornire le derrate alimentari e preservare il territorio, naturalmente con le giuste cautele mentre il mondo venatorio non ha agito, appellandosi forse in modo speculativo all’emergenza Covid”.
Il rappresentante dell’organizzazione astigiana sventola, ad esempio, la delibera della Regione Emilia Romagna che testualmente recita: “L’attività di piani di controllo è configurabile come servizio pubblico o di pubblica utilità che non è sospeso dal D.P.C.M. del 10 aprile 2020”.
Quello che mi fa più male”, ci tiene ad aggiungere Veggia, “ è il fatto che ci venga detto di non preoccuparci in quanto ci sono i risarcimenti!! A parte che spesso non sono sufficienti o sono tardivi, è proprio il principio sottostante che non è condivisibile, in quanto gli agricoltori lavorano la terra per produrre e venderne i frutti ed i rimborsi sono accettabili solo a fronte delle vere ed imprevedibili calamità naturali”.
L’organizzazione agricola astigiana, apprezzando dunque l’iniziativa della Provincia di Asti, chiede però ulteriori interventi di contenimento, ancora più incisivi ed in grado di salvaguardare tutto il territorio astigiano colpito da questo flagello.

L’agricoltura sociale, riconosciuta come uno degli strumenti più innovativi in grado di coniugare le esigenze di rinnovamento del welfare con lo sviluppo di un’agricoltura multifunzionale e moderna, chiede di non essere lasciata sola a gestire l’emergenza coronavirus
Per questo undici sigle tra mondo della rappresentanza sindacale (Confagricoltura, Cia –Agricoltori italiani, Copagri, Confcooperative e Legacoop) e Organizzazioni del sociale (Legambiente, C.N.C.A, FEDERsolidarietà, Coop. Capodarco, Forum nazionale dell’A.S., Rete fattorie sociali), hanno chiesto un incontro urgente al Ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova.
Il blocco delle attività didattiche ed educative che coinvolgono soggetti fragili, mette infatti in serio pericolo sforzi di anni, con il rischio concreto, per molte strutture, di non poter più riaprire.
Sarebbe un vero peccato – sostengono le Organizzazioni – vanificare le numerose iniziative promosse e sviluppate a livello locale e regionale che hanno fatto dell’agricoltura sociale un’esperienza solida e radicata sul territorio”.
Le proposte suggerite al Ministro sono diversificate: prima tra tutte la necessità di riprendere, nel rispetto delle regole di prevenzione e protezione individuale, le attività educative, sociali e sociosanitarie. Inoltre, maggiore supporto e assicurazioni di liquidità per le strutture interessate, che dovrebbero essere anche riconosciute come “presidi di comunità territoriali” per la funzione sociale che le caratterizza.
Maggiore attenzione viene chiesta anche a livello comunitario nella programmazione delle risorse finanziarie dei Fondi strutturali.