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Ridurre il divario di genere nell’accesso alle risorse produttive comporterebbe un aumento della produzione delle imprese agricole femminili del 20%-30%, con benefici per l’economia e l’intera popolazione (dati dell’OCSE). Altresì, il contributo delle donne per la sicurezza alimentare è quanto mai fondamentale.
È quanto sottolinea Confagricoltura Donna Piemonte nel giorno delle celebrazioni dei diritti fondamentali delle donne.
“Le donne sono protagoniste silenziose di un cambiamento nel settore primario che, oltre ad essere un settore produttivo determinante per l’Italia, è uno dei comparti economici nel quale si registra il più alto tasso femminile, di imprenditrici smart, attente all’innovazione. Le aziende condotte da donne – sottolinea Paola Maria Sacco, presidente dell’Associazione femminile piemontese – sono socialmente più responsabili, attente alla sostenibilità, con ampi margini di crescita e aprono la strada ad un futuro più inclusivo e resiliente. Il migliore augurio che si possa fare in occasione della Giornata della Donna è che ci si renda finalmente conto dell’apporto strategico del fattore D per il futuro della società”.
In Italia sono oltre 200mila le imprese agricole a trazione femminile, che rappresentano circa un terzo del totale. Molte tra le imprenditrici di Confagricoltura Donna sono under 35, due su tre hanno conseguito il diploma di laurea, e la tendenza generale è di coniugare tradizione e innovazione.
“L’8 marzo è la Giornata internazionale della Donna, un giorno per celebrare le donne e ricordare anche le conquiste sociali, economiche e politiche ottenute. E proprio in agricoltura, negli anni, è migliorata la loro posizione aziendale, ricoprendo dapprima il ruolo di coadiuvanti per diventare poi imprenditrici a titolo principale” afferma Lella Bassignana, direttore di Confagricoltura Piemonte. Ricorda inoltre il direttore che “Uno dei focus inseriti nel piano dell’Agenda 2030 è il raggiungimento della parità di genere sotto il profilo remunerativo: ebbene, nel settore primario, questo obiettivo sembra più realizzabile rispetto ad altri. Per questo chiediamo che vengano destinati investimenti e iniziative riservate al mondo agricolo femminile, perché l’apporto femminile è in grado di fare la differenza in tutti i campi”.

Anche alla luce delle recenti vicende politiche di carattere internazionale, Confagricoltura Piemonte esprime preoccupazione e perplessità sul divieto previsto dalla nuova PAC di coltivare nello stesso terreno, per due anni consecutivi, lo stesso prodotto, per ragioni di tutela ambientale e sostenibilità.
Riteniamo che tale divieto sia fortemente penalizzante per gli imprenditori agricoli e per il Made in Italy in generale” dichiara il presidente Enrico Allasia e precisa “In un Paese in cui il contesto culturale e alimentare è profondamente diverso tra nord e sud, applicare indistintamente l’avvicendamento colturale comporta notevoli difficoltà socio – economiche”.
Ad essere coinvolte in prima linea in Piemonte sono le filiere cerealicole – foraggere e a cascata la zootecnia, per la quale tali coltivazioni sono prettamente destinate (si pensi che nel 2022 la superficie totale di mais, in Regione, è stata pari a 130.420 ettari).
Confagricoltura Piemonte sottolinea come questa PAC sia sempre meno orientata al mercato: in un quadro segnato da grandi incertezze, l’Italia, forte delle sue tradizioni, costituisce un modello per i Paesi del Mediterraneo e, in un’ottica di aumento della popolazione e di lotta contro la fame, ha grandi potenzialità per incrementare la sua capacità produttiva. “Si tratta in primis di sicurezza e qualità alimentare: vanno rispettate pedissequamente tutte le regole sulle importazioni, soprattutto da quei Paesi come il Brasile per la soia, la Turchia per il grano e l’India per il riso, che si sono affacciati ai nostri mercati come novelli esportatori”.
È poi una questione di indipendenza alimentare: è fondamentale la salvaguardia del potenziale produttivo agricolo italiano, lasciando l’imprenditore libero di scegliere, valutare cosa sia più conveniente fare, anche dal punto di vista agronomico, oltre che da quello meramente economico”, fa notare Allasia.
Sulla delicata questione, Confagricoltura Piemonte ha raccolto le perplessità dagli imprenditori agricoli riguardo le semine del 2024, incerte a causa del vincolo di lasciare il 4% di un terreno a riposo: quest’operazione comporta una perdita economica per l’agricoltore, che oltretutto su quella porzione paga le tasse. Così come le pratiche di sovesciamento che prevedono coltivazioni intermedie, che non vengono portate a fine ciclo ma arate e sotterrate prima della maturazione, garantendo sì al terreno un apporto di azoto e sostanze organiche utili alla coltura successiva ma non portando alcun beneficio economico per l’agricoltore, dal momento che quella produzione non viene né raccolta, né tantomeno venduta.

Con l’obiettivo di contribuire alla diffusione della produzione birraia artigianale sul nostro territorio, la Regione Piemonte ha pubblicato il 15 dicembre scorso la legge n.20 di promozione e valorizzazione della filiera brassicola.
Il provvedimento mira a incentivare la coltivazione e la qualità delle materie prime quali, per esempio, il luppolo e l’orzo, anche tramite lo sviluppo di filiere locali.
La legge, nel definire cos’è la birra artigianale, introduce il concetto di piccoli birrifici agricoli o microbirrifici agricoli, ovvero di aziende agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile che producono la bevanda nell’ambito delle attività connesse all’agricoltura, con la possibilità di somministrare e vendere il prodotto direttamente al consumatore.
Tra gli interventi di valorizzazione e tutela, la legge 20 prevede l’istituzione del registro dei birrifici artigianali (entro 90 giorni dalla sua entrata in vigore) e del logo di filiera brassicola: entrambi gli strumenti poggiano su di un accordo tra i soggetti che concorrono alla realizzazione del prodotto, da cui scaturisce il progetto che definisce i ruoli degli stessi in modo coordinato e organico.
Infine, la legge sostiene le iniziative di ristrutturazione e ammodernamento degli impianti di produzione e incentiva l’acquisto di macchinari, anche innovativi, con uno stanziamento di risorse finanziarie stimato in 150 mila euro l’anno per il biennio 2023 – 2024.

La “Birra del Piemonte” è stata riconosciuta dalla Regione Piemonte come prodotto agroalimentare tradizionale (PAT), categoria individuata dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e di cui fanno parte le produzioni le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultano consolidate nel tempo per un periodo di almeno venticinque anni, e che pertanto rappresentano parte del patrimonio gastronomico e culturale nazionale. La richiesta di riconoscimento, presentata dal consorzio Birra Origine Piemonte, è stata valutata dai competenti Uffici della Direzione Agricoltura e Cibo della Regione Piemonte, con la collaborazione del Dipartimento di Management dell’Università di Torino, ed ha portato alla redazione della relativa scheda tecnica. Il percorso si concluderà con il definitivo inserimento nell’elenco regionale dei prodotti agroalimentari tradizionali del Piemonte tramite apposita deliberazione della giunta regionale.
Si tratta di un primo significativo riconoscimento per questo prodotto, che affonda le proprie radici nella seconda metà del XIX secolo, quando la presenza di oltre trenta birrifici faceva del Piemonte una delle principali realtà nazionali. Attività che, dopo alcuni decenni di rallentamento, è tornata a svilupparsi nei primi anni ‘90 del XX secolo, con la rinascita della “scuola artigianale” della birra, e che da allora è stata portata avanti fino ad oggi da numerosi birrifici diffusi sull’intero territorio regionale i quali, nelle loro produzioni artigianali, oltre a riproporre le metodiche di lavorazione peculiari della produzione brassicola “storica”, hanno progressivamente ripreso l’utilizzo (in alcuni casi esclusivo) di materie prime di origine locale.

Dalla scorsa settimana è in vigore in tutto il Piemonte lo stato di massima pericolosità per gli incendi boschivi, dichiarato dalla Regione per le condizioni di alto rischio causate dal caldo torrido e dalla mancanza di precipitazioni, elementi che favoriscono gli incendi in misura maggiore rispetto alle estati passate. Per fare fronte alla situazione, la Protezione Civile ha potenziato il proprio dispositivo operativo per la lotta agli incendi, costituito da Vigili del fuoco e Volontari del Corpo Aib Piemonte. È stato inoltre incrementato il servizio elicotteristico con l’attivazione di una seconda base operativa a Costigliole d’Asti, oltre a quella di Busano nel Canavese.
Rammentiamo che nel periodo di massima pericolosità la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata per disposizione nazionale. A questo divieto si aggiungono le misure a carattere regionale, che vietano fuochi entro una distanza di 100 metri dai terreni boscati, arbustivi e pascolivi, e le azioni determinanti anche solo potenzialmente l’innesco di incendio (accendere fuochi e fuochi pirotecnici, far brillare mine, usare apparecchi a fiamma o elettrici per tagliare metalli, usare apparati o apparecchiature che producano faville o brace, fumare, disperdere mozziconi o fiammiferi accesi, lasciare veicoli a motore incustoditi a contatto con materiale vegetale combustibile, compiere ogni altra operazione che possa creare comunque pericolo mediato o immediato di incendio). È inoltre vietata qualunque generazione di fiamma libera non controllabile.
Lo stato di massima pericolosità rimarrà in vigore finché una discesa delle temperature e l’arrivo di precipitazioni porteranno a un rischio minore, consentendo di rientrare nei livelli “normali” di pericolo.