Si è ufficialmente costituita la commissione sulla rilevazione del prezzo delle nocciole della Camera di Commercio di Alessandria – Asti. La commissione si è insediata ufficialmente nella giornata di giovedì 6 ottobre, presso la sede della Camera di Commercio di Asti. Anche la Confagricoltura di Asti è presente all’interno di questo gruppo di lavoro, ed è rappresentata da Enrico Masenga, coordinatore del settore tecnico della Confagricoltura di Asti e Cristina Bello, presidente della sezione corilicola dell’organizzazione astigiana. L’incontro di giovedì è servito per stabilire le modalità di rilevamento del prezzo della nocciola tra le varie parti della filiera.

La Confagricoltura di Asti già in occasione della Fiera di Castagnole Lanze aveva chiesto un aumento del prezzo della nocciola rispetto allo scorso anno, a fronte del sostanzioso incremento dei costi di produzione che gli agricoltori sono stati costretti ad affrontare durante questa annata, ma purtroppo in quell’occasione non si era arrivati ad un accordo con la parte industriale. Si auspica che nelle prossime settimane venga raggiunto un accordo per fissare una quotazione in provincia di Asti.

Per il momento il prezzo di riferimento per la vendita della nocciola è quello ufficializzato dalla Camera di Commercio di Cuneo la scorsa settimana, che ha stabilito un valore di 6,85 euro al punto resa per la Nocciola Piemonte e 7,30 euro se il prodotto possiede la denominazione IGP.

Quest’anno, nonostante la siccità che ci ha accompagnato per tutta la stagione estiva, abbiamo assistito ad una produzione corilicola abbondante e di qualità in tutto il territorio astigiano”, afferma Mariagrazia Baravalle, direttore della Confagricoltura di Asti, “ci auguriamo che si riesca a raggiungere al più presto un accordo sul prezzo e che quest’ultimo sia alquanto remunerativo per le nostre aziende che, a fronte di aumenti esorbitanti dei costi di produzione e di condizioni atmosferiche non ottimali, sono comunque riusciti anche quest’anno a garantire un prodotto di indubbia e comprovata qualità”.

Ringrazio e auguro buon lavoro – dichiara Gabriele Baldi, presidente della Confagricoltura di Asti alla neonata commissione camerale e ai rappresentanti della Confagricoltura di Asti all’interno di essa, consapevole che sapranno tutelare al meglio gli interessi dei nostri imprenditori”.

Chiediamo alla Regione di non limitare la caccia al cinghiale; le operazioni di costruzione della recinzione per contrastare la diffusione della peste suina vanno a rilento e questo problema, in alcuni territori, diventa addirittura un motivo per bloccare gli abbattimenti. Il mondo agricolo è esasperato e non può più subire ulteriori danni”. È questo l’appello lanciato dal presidente di Confagricoltura Piemonte Enrico Allasia in seguito alle decisioni della Regine di bloccare la caccia al cinghiale in alcune aree della provincia di Alessandria.
La Regione Piemonte – precisa Confagricoltura in una nota – nel mese di agosto aveva autorizzato l’esercizio venatorio al cinghiale con l’utilizzo di cani in zona di restrizione I e II, nei soli territori in cui fosse stata completata la recinzione e all’esterno della stessa; all’interno della barriera era invece consentito praticare caccia di selezione al cinghiale in forma singola senza cani ed interventi di controllo ai sensi dell’articolo 19 della legge 157/1992.
Tuttavia da settembre, a seguito di una precisa richiesta di alcuni Ambiti territoriali di caccia della provincia di Alessandria (ATC AL4 e AL3), le direzioni regionali competenti in materia hanno comunicato che, dal 2 ottobre, in tutto il territorio dell’ATC AL4 (zona di restrizione I e zona di restrizione II esterne alla recinzione) non è più consentita l’attività venatoria al cinghiale con utilizzo di cani, ad eccezione dei territori ricadenti nelle aziende faunistiche venatorie e nelle aziende agrituristico venatorie. Invece nel comprensorio dell’ATC AL3, in accoglimento della relativa richiesta, non è permessa l’attività venatoria al cinghiale in tutte le sue forme. Analogo divieto vige anche per le aziende faunistiche venatorie e aziende agrituristico venatorie ricomprese nell’ATC AL3.
Per quanto riguarda il restante territorio dell’ATC AL2 in zona di restrizione II a nord della recinzione, della barriera autostradale A26 e del raccordo autostradale, e nel comune di Mombaldone, ricadente nell’ATC AT2 (in provincia di Asti), in deroga a quanto stabilito dal calendario venatorio regionale 2022/2023, sempre dal 2 ottobre 2022 è autorizzata l’apertura dell’attività venatoria al cinghiale in forma di caccia programmata.
Nel territorio intercluso tra la recinzione ovest, le barriere autostradali A26 del raccordo autostradale e dell’A7, compresi i territori ricadenti nelle aziende faunistiche venatorie e nelle aziende agrituristico venatorie, è invece consentita, come da precedente delibera di agosto, la caccia di selezione al cinghiale in forma singola senza l’ausilio di cani, nonché gli interventi di controllo ai sensi dell’articolo 19 della legge 157/1992.
A est della barriera autostradale A7 (zona di restrizione I e zona restrizione II), compresi i territori ricadenti nelle aziende faunistiche venatorie e nelle aziende agrituristico venatorie, dove lo sbarramento provvisorio è ancora da terminare, non è autorizzata alcuna attività venatoria al cinghiale salvo eventuali interventi di controllo d’urgenza disposti dalla Provincia di Alessandria. La caccia, sia in forma programmata sia in selezione, sarà possibile solo dopo la comunicazione di completamento della posa della recinzione.
Siamo spiacevolmente sorpresi da questa decisione – afferma Enrico Allasia – perché dopo le nostre ripetute sollecitazioni, che avevano portato nei mesi scorsi la Regione ad assumere provvedimenti finalizzati a dare impulso all’attività di depopolamento dei cinghiali, ci troviamo ora di fronte a una battuta di arresto francamente poco comprensibile e assolutamente non condivisibile. Porre limitazioni all’attività venatoria non aiuterà certo a migliorare le percentuali di abbattimento, che al momento sono totalmente insoddisfacenti e a risolvere il problema della Psa”.

“In dieci anni l’ingresso delle donne nelle società di capitali e di persone, nella fascia di età dai 18 a 29 anni, è più che raddoppiato, salendo dal 14% al 33,7%, a dimostrazione che la partecipazione femminile a tutti i livelli, anche e soprattutto in una fase critica per l’economia, costituisce una componente vitale all’interno del sistema produttivo nazionale, che va adeguatamente incoraggiata”. Lo ha detto Alessandra Oddi Baglioni, presidente di Confagricoltura Donna, aprendo i lavori dell’incontro “Donne in agricoltura: da sempre protagoniste del cambiamento” promosso da Confagricoltura Donna Emilia Romagna, Piemonte e Lombardia che si è tenuto nell’agriturismo Battibue a Fiorenzuola D’Arda (PC).
All’incontro era presente
Paola Maria Sacco, presidente di Confagricoltura Donna Piemonte, accompagnata da altre rappresentanti piemontesi tra cui, per la provincia di Asti, il direttore di Asti Agricoltura Mariagrazia Baravalle.

Al tavolo dei relatori è stata chiamata la ricercatrice Marialuisa Ricotti, che ha tracciato un excursus sull’agricoltura coniugata al femminile dal Medio Evo al XX secolo: “Intuizioni, conoscenze, capacità di trasformare in economia saperi antichi trasmessi attraverso le generazioni confermano la capacità delle donne, pur nel loro silenzio umile, di essere state e di continuare ad essere portatrici di innovazione nel settore agricolo, mettendo in gioco abilità e risorse umane di qualità”.
All’evento sono state invitate, inoltre, la professoressa
Guendalina Graffigna, ordinario di Psicologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, e due giovani imprenditrici, Matilde Maria Passamonti, e Alice Consoli, presidente dei giovani di Confagricoltura – Anga Emilia Romagna. Entrambe hanno fatto dell’innovazione una regola di vita ed attraverso le loro relazioni hanno ancor più evidenziato la centralità del ruolo della donna in agricoltura, insieme alla sua capacità di affrontare con determinazione le difficoltà e i cambiamenti. Nel pomeriggio è stato visitato un innovativo impianto agrisolare (cioè con pannelli rialzati e coltivazioni al di sotto), tra i pochi in Italia.
“Non è un caso – ha precisato a margine dell’incontro Paola Maria Sacco – che, malgrado le difficoltà e la preoccupante crisi economica che stiamo attraversando, l’impegno femminile in agricoltura continui a crescere, seppur in maniera contenuta.  Attenzione però: nonostante il settore primario sia rappresentato da una componente imprenditoriale femminile molto rappresentativa, subito sotto il comparto dei servizi, resta ancora molto da fare per sostenere adeguatamente questa tendenza e auspichiamo che il nuovo governo s’impegni in tal senso“.

Dai dati elaborati dal centro studi Confagricoltura, emerge che, in provincia di Asti, sono 1.549 le imprese femminili attive in agricoltura. Con il 31,61% di aziende, quella di Asti è la seconda provincia piemontese in fatto di presenza di donne alla guida di imprese attive nell’agricoltura, preceduta solo da Cuneo.

Quanto emerso dal convegno di giovedì 6 ottobre a Fiorenzuola sulla crescente presenza di un’imprenditoria femminile anche nel settore dell’agricoltura ci conforta e ci sprona a proseguire nella strada intrapresa che ha portato alla costituzione di una consulta provinciale femminile in seno alla Confagricoltura di Asti, oggi presieduta da Maria Pia Lottini, titolare dell’agriturismo La Tenuta Antica di Cessole. Vi è la convinzione che le donne possano costituire un valore aggiunto nel mondo imprenditoriale per la visione di prospettiva che hanno dimostrato di avere, in passato come oggi”, ha aggiunto Mariagrazia Baravalle.

 

   

Tutte le partecipanti all’incontro organizzato da Confagricoltura Donna presso l’agriturismo Battibue di Fiorenzuola d’Arda e i pannelli fotovoltaici all’interno dell’azienda ospitante

Con la dotazione del Fondo per la tutela e il rilancio delle filiere apistica, brassicola, della canapa e della frutta a guscio, la Legge di Bilancio dello Stato 2022 ha previsto uno stanziamento specifico per il settore dell’apicoltura, a titolo di parziale ristoro per il calo produttivo e contestuale aumento dei costi produttivi verificati nel corso delle annate apistiche 2020 e 2021.
Risorse pari a 7,75 milioni di euro per il 2022 sono state destinate all’attuazione delle misure di cui alla legge n. 313-2004 recante “Disciplina dell’apicoltura”. Le modalità di utilizzo dei fondi sono state approvate con decreto ministeriale del 20 luglio 2022, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 9 settembre. Le risorse pari a 6,95 milioni di euro destinate alle aziende apistiche finanzieranno in particolare:

– incentivazione della pratica dell’impollinazione a mezzo di api (aiuto è erogato sulla base del numero di alveari utilizzati nell’attività con un massimale di 20 euro per alveare);
– incentivazione della pratica dell’allevamento apistico e del nomadismo (indennizzo sulla base del numero di alveari dichiarati nella Banca Dati Nazionale (BDN), con un massimale pari a 40 euro ad alveare).

I beneficiari degli interventi sono gli apicoltori, in forma singola o associata che, alla data del 31 dicembre 2021, sono in regola con gli obblighi di identificazione degli alveari e sono registrati in BDN come apicoltori professionisti, che producono per la commercializzazione ed esercitano l’apicoltura sia in forma stanziale, sia praticando il nomadismo anche ai fini dell’attività di impollinazione.
Entro 30 giorni Agea, in qualità di soggetto gestore, provvederà all’emanazione delle istruzioni operative per la presentazione delle domande di partecipazione all’assegnazione dei fondi straordinari per la realizzazione degli interventi da parte degli apicoltori.

L’Agenzia delle Entrate si è recentemente espressa riguardo a un aspetto che potrebbe diventare presto piuttosto importante per i bilanci delle aziende agricole, cioè se il reddito derivante dell’eventuale remunerazione per l’anidride carbonica (CO2) sequestrata nel suolo tramite processi produttivi virtuosi correlati alla coltivazione delle piante possa essere ricompreso in quello agrario.
Richiamando il terzo comma dell’articolo 2135 del Codice Civile, nel quale sono elencate le attività agricole connesse esercitabili dall’impresa agricola, l’Agenzia delle Entrate, ha precisato che, in mancanza di una specifica disposizione di legge che, come ad esempio è avvenuto per la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica, definisca la cessione delle quote di emissione derivanti dal sequestro di CO2, questa non può essere inquadrata come “fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata” e quindi non è configurabile come attività agricola connessa.
Di conseguenza, gli eventuali proventi derivanti dalla commercializzazione dei crediti di carbonio concorrerebbero alla formazione del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 85 del TUIR.
Ai fini IVA, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la cessione a terzi delle quote di CO2 prodotta sia da assimilare ad una prestazione di servizi, così che per tali cessioni si renderebbe applicabile il regime ordinario di determinazione dell’imposta.
Sul tema è stata anche presentata un’interrogazione parlamentare in quanto tale attività rientra tra gli obiettivi del Regolamento n. 2018/841/UE relativo alla riduzione della CO2. Il Regolamento prevede che gli Stati membri si impegnino a garantire che le emissioni contabilizzate di gas ad effetto serra siano interamente compensate da una equivalente rimozione di anidride carbonica, anche attraverso il sequestro della CO2 nel suolo o nelle piante, a condizione che non rientri in circolo (ad esempio con la combustione del legname prodotto).
La risposta della Commissione Finanze all’interrogazione è stata quella di ribadire la necessità di una specifica norma di legge che includa questo tipo di attività tra quelle agricole definite dall’art. 2135, Codice Civile. Al momento quindi le imprese agricole che dovessero cedere tali titoli o quote corrono il rischio di vedersi contestare la qualifica di società agricola per il venir meno del requisito dell’esercizio esclusivo delle attività agricole o anche della qualifica di imprenditore agricolo professionale.