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La modifica del Piano della Qualità dell’Aria, con l’aggiornamento e il potenziamento delle misure già in essere, prevede un impegno a carico del settore agricolo sempre più oneroso, vasto e articolato. Un problema che gli allevatori non possono affrontare senza una collaborazione costruttiva con la Regione

Con il prossimo anno cominceranno a essere applicate le norme e i vincoli previsti dal Piano Stralcio Agricoltura per la qualità dell’aria. Per gli allevamenti questo comporterà la necessità di rispettare prescrizioni molto impattanti dal punto di vista gestionale, come ad esempio le tempistiche di interramento dei reflui, ma soprattutto l’introduzione di adeguamenti strutturali spesso piuttosto complessi, di non facile realizzazione tecnica e generalmente molto onerosi dal punto di vista finanziario.
Gli allevatori piemontesi – afferma Enrico Allasia presidente di Confagricoltura Piemonteche già stanno affrontando una situazione economica e di mercato per molti aspetti critica, si troveranno a breve a dover gestire uno degli interventi tecnici più complessi e articolati degli ultimi decenni: la copertura delle strutture di stoccaggio dei reflui”.
Non possiamo non considerare – prosegue Allasia – che gli allevamenti, si sono sì evoluti nel tempo, ma per imprescindibili esigenze di gestione economica, nella maggior parte dei casi, hanno conservato le strutture aziendali ancora efficienti e utilizzabili, e in primo luogo le platee o le vasche di stoccaggio dei reflui zootecnici. Proprio queste opere, costruite con criteri diversi da quelli attuali, ma ripeto perfettamente a norma, efficienti e utilizzabili, spesso non possono essere dotate di una copertura fissa per impossibilità tecnica o perché la spesa richiesta per la modifica sarebbe tale da mettere a rischio la sostenibilità stessa dell’impresa”.
A questo proposito, Confagricoltura Piemonte non ritiene adeguati i fondi previsti dall’intervento SRD02 del Complemento di sviluppo rurale, che per il primo bando dovrebbe prevedere una dotazione più importante.
Oltre al sostegno economico però, è necessaria un’azione concordata tra mondo agricolo e l’ente pubblico, perché le soluzioni che dovranno essere adottate implicano, in generale, investimenti molto onerosi e spesso non reversibili per macchinari o strutture. “Gli agricoltori sono consapevoli di quanto sia importante tutelare la qualità dell’aria – conclude Allasia – e, ancora una volta, faranno la loro parte con coscienza. Riteniamo tuttavia indispensabile, e lo abbiamo già richiesto alla Regione, istituire un tavolo di lavoro che, analogamente a quanto già avviene per l’utilizzazione agronomica dei reflui zootecnici con il Comitato nitrati, analizzi le numerose problematiche tecnico-gestionali e concordi indicazioni operative omogenee per tutti i soggetti coinvolti, dalle aziende, ai progettisti, ma soprattutto agli enti che dovranno effettuare i controlli”.

Manca il cosiddetto fieno in cascina, ma stavolta non si tratta di un modo di dire. La situazione è veramente molto preoccupante e a stagione invernale inoltrata le scorte di fieno sono praticamente terminate. Gli allevamenti lanciano un grido di allarme e si ritrovano a dover fare in conti con una situazione drammatica. I rincari relativi ai costi energetici, che negli ultimi mesi hanno pesato sui bilanci, vanno a sommarsi all’aumento di prezzo dei mangimi: il mais è passato dai 24 euro ai 34 al quintale. Uno sbalzo improvviso che mette a rischio la stabilità di diverse stalle.
A seguito di una primavera particolarmente asciutta, seguita da un’estate calda e priva di precipitazioni, la produzione di fieno è ai minimi storici. I prezzi sono molto elevati al punto che è più costoso il mantenimento di un bovino rispetto al suo prezzo di vendita, ma per il fieno la situazione è ancor più preoccupante perché la produzione è stata insufficiente ed è veramente difficile trovarne“, dichiara Enrico Masenga, coordinatore del settore tecnico della Confagricoltura di Asti. “Molti allevatori hanno utilizzato la paglia al posto del fieno e hanno raccolto la poca erba presente ancora nei prati: si tratta di pratiche di emergenza per non lasciar morire di fame gli animali, ma sono molto limitanti per il loro accrescimento. In questi mesi gli allevatori sono costretti a ridurre il numero di capi allevati per carenza di fieno. Riteniamo che sia indispensabile un sostegno senza il quale gli allevatori saranno costretti a macellare i propri capi“.
Quest’anno la siccità ha creato anche una notevole scarsità di fieno“, afferma Roberto Rapetto, allevatore di Rocchetta Tanaro, presidente della sezione di prodotto Allevamenti Bovini da Carne della Confagricoltura di Asti. “Alcuni allevatori sono riusciti ad ovviare a questa mancanza utilizzando del trinciato di mais e quindi
sono fortunati in quanto hanno ancora un margine di autonomia, ma chi ha necessità di acquistare è molto svantaggiato in quanto la disponibilità di fieno è molto scarsa e a prezzi esorbitanti. Non averlo da vendere è un problema, ma doverlo acquistare è un dramma“.

Il caro energia, la siccità e l’aumento del costo delle materie prime stanno mettendo in ginocchio tutto il comparto zootecnico rappresentato in Piemonte da 4900 allevatori, per un totale di 422.000 capi
A soffrire maggiormente è il pregiato comparto della razza piemontese, rappresentato da oltre 3800 imprese con 268.500 capi, ovvero il 68% del patrimonio bovino regionale.
Confagricoltura, insieme alle altre associazioni di categoria agricole ha messo a punto un documento condiviso che chiede alla Regione Piemonte di intervenire con una serie di misure a supporto del sistema. La priorità è arrivare ad un contratto di filiera con la Gdo (grande distribuzione) che garantisca agli allevatori un “reddito dignitoso”. E su questa partita sono molto alte le aspettative nei confronti del tavolo sotto la regia dell’assessore regionale all’Agricoltura Marco Protopapa.

In allegato il documento condiviso inviato alla Regione Piemonte

Documento condiviso_settore zootecnico

In sede di conversione del Decreto Legge “Milleproroghe”, all’art. 3 comma 6 quater, è stata disposta la proroga dei versamenti delle imposte per i soggetti che svolgono l’attività di allevamento avicunicolo o suinicolo nelle aree soggette a restrizioni sanitarie per le emergenze dell’influenza aviaria e della peste suina africana.
La norma, proposta da Confagricoltura, prevede che “per i soggetti che svolgono attività di allevamento avicunicolo o suinicolo nelle aree soggette a restrizioni sanitarie per le emergenze dell’influenza aviaria e della peste suina africana sono prorogati al 31 luglio 2022 i termini aventi scadenza nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2022 e il 30 giugno 2022 per i versamenti relativi alle ritenute alla fonte di cui agli articoli 23 e 24 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, alle trattenute relative alle addizionali regionale e comunale all’imposta sul reddito delle persone fisiche, che i predetti soggetti operano in qualità di sostituti d’imposta, e all’imposta sul valore aggiunto
Con la circolare l’Agenzia chiarisce, relativamente all’ambito territoriale di applicazione della sospensione, che possono beneficiare della proroga gli esercenti attività di allevamento avicunicolo e suinicolo che, alla data di inizio alla data del 01/01/2022, hanno la sede operativa in uno dei comuni rientranti nelle aree assoggettate a particolari restrizioni da ordinanze o dispositivi delle autorità competenti a seguito della verifica di casi di peste suina africana o di influenza aviaria. Per sede operativa si intende il luogo adibito all’esercizio delle attività di allevamento.
Potranno fruire dell’agevolazione quei soggetti che, al 01/01/2022, svolgono attività di allevamento suinicolo con sede operativa in uno dei comuni rientranti in una “zona infetta” istituita a seguito di accertati casi di peste suina africana, oppure che svolgono attività di allevamento avicunicolo con sede operativa in una “zona di ulteriore restrizione” (ZUR) istituita per contenere la diffusione dell’influenza aviaria, qualora alla medesima data siano state attuate misure di restrizione sanitaria da parte delle autorità competenti.
La sospensione opera, fino al 31 luglio 2022 per i suddetti versamenti che scadono nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2022 e il 30 giugno 2022. I versamenti sospesi devono essere effettuati in un’unica soluzione entro il 16 settembre 2022 ovvero in quattro rate mensili di pari importo da corrispondere entro il giorno 16 di ciascuno dei mesi da settembre 2022 a dicembre 2022. Eventuali versamenti già effettuati, prima dell’entrata in vigore della proroga, nei mesi di gennaio e febbraio 2022, non potranno essere oggetto di rimborso.

Il presidente di Confagricoltura Piemonte, Enrico Allasia, ha sollecitato l’assessorato regionale all’Agricoltura a rivedere le norme del PSR in materia di sostegno agli allevamenti condotti in soccida. Oggi, infatti, le disposizioni sono molto limitanti e rendono assai difficoltoso, e in non pochi casi impossibile, l’accesso alle provvidenze pubbliche da parte degli allevatori che hanno in essere contratti di questo tipo.
La soccida – chiarisce Confagricoltura – è una forma di contratto agrario di tipo associativo regolamentato dal codice civile (art. 2170 e seguenti) e praticato da oltre ottant’anni che ha avuto una larga diffusione nel settore zootecnico, diventando uno dei cardini contrattuali su cui poggia buona parte dell’allevamento.
In Piemonte, come evidenzia Confagricoltura, gli allevamenti avicoli condotti in soccida sono quasi il 30% ma rappresentano il 40% del patrimonio zootecnico dello specifico comparto; le stalle di bovini da carne condotte con questa tipologia contrattuale, pur rappresentando poco meno del 5% del numero complessivo costituiscono quasi il 18% dei capi allevati e gli allevamenti di suini in soccida incidono per il 26% in termini numerici, ma per oltre il 47% del patrimonio zootecnico specifico (fonte dati: Regione Piemonte).
Appare dunque evidente – spiega Enrico Allasia, presidente di Confagricoltura Piemonte come queste aziende rappresentino una parte molto importante del tessuto zootecnico regionale. Ciononostante gli allevamenti piemontesi in soccida, nell’attuale programmazione, hanno subito forti penalizzazioni a causa del fatto che, ai fini del calcolo della loro produzione standard, viene conteggiato esclusivamente il bestiame in proprietà del soccidario e non il numero complessivo dei capi che l’allevatore ha in detenzione”.
Questa visione della soccida produce, per ricaduta, una serie di conseguenze negative per tutte quelle aziende che vorrebbero intraprendere azioni volte all’adeguamento e al potenziamento della loro competitività.
Nelle altre regione del Nord, nelle quali sono anche molto diffusi i contratti di soccida, non ci sono vincoli che limitino la possibilità di accedere alle misure strutturali del PSR. “Per questo – dichiara Enrico Allasia – riteniamo necessario che la Regione modifichi l’approccio nei confronti delle imprese che adottano contratti di soccida, consentendo a queste aziende di partecipare, a pieno titolo e senza restrizioni, ai bandi dello sviluppo rurale, al pari delle realtà che applicano altre forme di conduzione”.