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Confagricoltura esprime soddisfazione per la decisione del governo di procedere alla ratifica del CETA, l’accordo tra Unione europea e Canada entrato in vigore in via provvisoria nel settembre del 2017. L’Organizzazione degli imprenditori agricoli ha sempre sostenuto l’intesa, che si è rivelata positiva non solo dal punto di vista commerciale, ma anche nel contesto macroeconomico e politico.
Secondo i dati forniti dalla Commissione Europea alla scadenza dei cinque anni dalla firma dell’accordo, ci sono state significative ricadute per l’economia e per i consumatori: gli scambi bilaterali e bidirezionali di merci tra la UE e il Canada sono aumentati del 31% negli ultimi cinque anni, raggiungendo i 60 miliardi di euro. Per l’Italia la crescita delle esportazioni verso il Canada è stata del 36,3%, toccando nel 2021 quota 7 miliardi. E il Paese è diventato la nostra decima destinazione al di fuori della UE, con una quota di mercato che è salita da 1,03 a 1,16. Tra le voci più performanti dell’export tricolore figura proprio l’agroalimentare, con aumenti di oltre l’80% in cinque anni nell’ortofrutta trasformata e del 24% nel comparto bevande, alcolici e aceto, e del 20% in quello dei formaggi.
Non solo l’export di beni ha tratto vantaggio dall’accordo, che prevede l’eliminazione della quasi totalità dei dazi sulle merci, l’accesso preferenziale al mercato dei servizi e la collaborazione tra i firmatari per il riconoscimento delle indicazioni di origine protetta (le 41 tutelate dal Ceta coprono il 90%del fatturato annuo dell’export di prodotti a denominazione d’origine), nonché provvedimenti volti a facilitare gli investimenti, la reciproca partecipazione delle imprese alle gare d’appalto pubbliche e la mobilità dei lavoratori. Dal 2018 si sono registrati, infatti, significativi flussi di investimenti italiani diretti in Canada (in media annua, 500 milioni di euro tra il 2018 e il 2021, contro 153 milioni nel periodo 2014-2017).
Gli ultimi dati relativi all’accordo Unione europea-Canada dimostrano che l’unica strada perseguibile per rilanciare l’export, in base a principi di reciprocità ed equilibrio tra le parti, è quella dei negoziati bilaterali – commenta il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansantil’alternativa, in seguito alla difficoltà di intese regolate dalla WTO, finisce per essere quella dei rapporti di forza basati sull’imposizione di dazi e sulle inevitabili misure di ritorsione”.

A cinque anni dall’entrata in vigore dell’accordo CETA tra Unione Europea e Canada, i risultati confermano performance largamente positive per la UE e per l’export agroalimentare. Confagricoltura aveva sostenuto già allora l’intesa, che si è rivelata positiva non solo dal punto di vista commerciale, ma anche nel contesto macroeconomico e politico”. Così il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, commenta i dati diffusi dalla Commissione Europea in occasione del primo lustro di applicazione del CETA.
In una nota, la Commissione fornisce i dati e conferma che ci sono state significative ricadute per l’economia e per i consumatori: gli scambi bilaterali e bidirezionali di merci tra la UE e il Canada sono aumentati del 31% negli ultimi cinque anni, raggiungendo i 60 miliardi di euro.
Per l’Italia, la crescita delle esportazioni verso il Canada dall’entrata in vigore dell’accordo è stata del 36,3%, raggiungendo nel 2021 quota 7 miliardi. Tra le voci più performanti dell’export tricolore figura proprio l’agroalimentare, con aumenti di oltre l’80% in cinque anni nell’ortofrutta trasformata e del 24% nel comparto bevande, alcolici e aceto.
Gli accordi commerciali sottoscritti dalla UE sono, in generale, un valido strumento per supportare la crescita delle esportazioni agroalimentari italiane – sostiene Giansanti – anche per la tutela assicurata alle indicazioni geografiche”.
Il CETA dà anche l’occasione di allargare le intese. A fine mese, in occasione di un incontro tra il commissario UE all’agricoltura e le autorità di Ottawa, si potrà siglare un accordo per l’aumento delle importazioni di ammoniaca sul mercato europeo, come contributo per evitare una carenza di fertilizzanti nella UE”.

Gli ultimi dati relativi all’accordo Unione europea-Canada (CETA) dimostrano che l’unica strada perseguibile per rilanciare l’export, in base a principi di reciprocità ed equilibrio tra le parti, è quella dei negoziati bilaterali. L’alternativa, a seguito pure della difficoltà di intese WTO, finisce per essere quella dei rapporti di forza basati sull’imposizione di dazi e sulle inevitabili misure di ritorsione, come sta accadendo, negli ultimi tempi, tra Ue-Usa”. Lo ha dichiarato il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti.
In base alle elaborazioni del Centro Studi di Confagricoltura su dati Istat, a seguito dell’accordo CETA, le esportazioni di prodotti agroalimentari italiani sul mercato canadese sono aumentate nel complesso del 9,7% (gen-set 2019 su gen-set 2018).
Circa un quinto dell’export totale, in valore, dell’Italia verso il Canada è composto da prodotti agricoli ed agroalimentari e, di questi, quasi il 40% è costituto da prodotti vitivinicoli.
C’è sempre più interesse per vini e spumanti made in Italy di qualità, tanto è vero che le esportazioni di imbottigliato in recipienti superiori a 2 litri (come ad esempio il vino sfuso o in damigiana) sono fortemente diminuite, sia in valore, sia in quantità (-33,8%). C’è indubbiamente una fascia di consumatori che apprezzano i vini e gli spumanti italiani (+12%) di qualità, trainati dal Prosecco, e che sono disposti a spendere di più.
Il Ceta – pone in evidenza l’Organizzazione degli imprenditori agricoli – fa bene anche alle esportazioni dei nostri formaggi che, nel primo trimestre 2019, sembravano avere avuto una battuta d’arresto e che invece, tra giugno e settembre, risultano al di sopra della media mensile.
Importante nell’accordo Unione europea-Canada, ad avviso di Confagricoltura, pure la tutela delle indicazioni geografiche agroalimentari, in particolare delle dieci che rappresentano il 90% del valore dell’export di tutte le denominazioni agroalimentari del nostro Paese. E’ il caso delle denominazioni ‘Prosciutto di Parma’ e ‘Prosciutto San Daniele’ che non potevano essere utilizzate in Canada da oltre venti anni.