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In Italia è necessario un cambio di passo nella gestione di alcune specie di fauna selvatica. Un nuovo modello che tenga insieme gli interessi delle imprese agricole e la tutela ambientale oggi è possibile”. È questo il messaggio che il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, lancia dal convegno “Fauna selvatica e territori: conoscere per gestire”, organizzato a Viterbo dalla Confederazione e l’Ente Produttori di Selvaggina (EPS).
L’evento è servito per ribadire la vicinanza delle due organizzazioni al settore faunistico-venatorio che EPS rappresenta con ben 2.700 istituti faunistici e 5.000 soci, gestori di una superficie di 1 milione di ettari su tutto il territorio nazionale.
Sono stati presentati i dati elaborati da Ispra sulla diffusione del cinghiale, con un focus specifico sulle conseguenze che la proliferazione della specie ha sul lavoro delle imprese agricole.
La non adeguata gestione di alcune specie selvatiche ha molteplici conseguenze. A partire dalla diffusione di epizoozie che possono avere gravi effetti sulle attività economiche del settore primario, come recentemente accaduto proprio con la Peste suina africana (PSA) in varie aree dello Stivale.
Alcuni passi in avanti sono stati comunque fatti. Come gli importanti interventi presenti nella legge di Bilancio 2023 ottenuti grazie all’attenzione del Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.
Confagricoltura ritiene, però, che siano necessari interventi più specifici su alcuni aspetti che interessano direttamente le aziende agricole: una migliore gestione del periodo di apertura della caccia, la previsione di un maggiore selezione di alcune specie, e un più efficace sistema di risarcimento dei danni.
Confagricoltura e EPS auspicano un piano organico di interventi mirati che ponga fine alla diffusione fuori misura di alcuni esemplari di fauna selvatica anche in ambienti non caratteristici. Le conseguenze sono molte: danni alla flora locale, marginalizzazione delle imprese agricole e abbandono di interi territori in particolare montani e collinari.
Il problema della diffusione non gestita dei cinghiali coinvolge direttamente gli agricoltori, ma ormai si tratta di un fenomeno che non riguarda più soltanto il settore primario. Basti pensare ai pericoli per l’incolumità pubblica nelle zone rurali ma anche nei pressi dei centri abitati. La corretta gestione della fauna selvatica chiama tutta la società civile ad un lavoro condiviso.

I dati Ispra sulla presenza del cinghiale in Italia nel periodo 2015-2021

In Italia si conta un milione e mezzo di esemplari di cinghiale. Una proliferazione altissima la quale si sono messe in campo campagne di selezione cresciute in sette anni del 45%. L’Ispra segnala che gli abbattimenti sono stati circa 300.000 all’anno (di cui 257.000 in caccia ordinaria e 42.000 in interventi di controllo faunistico). Il 30% dei contenimenti totali è stato effettuato in Toscana.
Ingenti i danni all’agricoltura con una media annuale di oltre 17 milioni di euro. La stima complessiva è risultata di poco inferiore a 120 milioni di euro di danni per un totale di oltre 105.000 casi.
Le regioni più colpite sono Abruzzo e Piemonte con, rispettivamente, circa 18 e 17 milioni di euro nel periodo considerato. Altre tre regioni hanno fatto registrare oltre 10 milioni di danni all’anno: Toscana, Campania e Lazio.

 

L’intervento del presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti (foto: Confagricoltura)

In seguito agli ultimi 11 casi di positività riscontrati in Liguria, i presidenti delle Federazioni regionali chiedono un’azione sinergica da parte delle due Regioni confinanti

La notizia diffusa oggi dall’Istituto Zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta circa il ritrovamento di 11 carcasse di cinghiali infetti al confine tra le due Regioni fa crescere ulteriormente la preoccupazione degli allevatori di suini delle aree già colpite dalla PSA.
I presidenti di Confagricoltura Piemonte Enrico Allasia e di Confagricoltura Liguria Luca De Michelis, rappresentanti degli imprenditori agricoli dei territori coinvolti dall’epidemia di Peste Suina Africana, fanno fronte comune e chiedono alle Istituzioni di agire sinergicamente per contenere il dilagare del problema.
“Alla luce dei nuovi casi che fanno salire a 171 per il Piemonte e a 112 per la Liguria il numero degli animali affetti dalla patologia, chiediamo che venga costituito e convocato al più presto un Tavolo permanente interregionale di confronto sull’argomento, che possa ricercare e concordare le iniziative di contrasto all’emergenza” affermano Allasia e De Michelis.
Confagricoltura Piemonte e Liguria ribadiscono che la biosicurezza rappresenta un elemento fondamentale per il contenimento dell’epidemia, soprattutto al fine di prevenire l’ingresso delle infezioni negli allevamenti, ma che senza un intento e uno sforzo comune e coordinato di entrambe le Regioni non si possa arginare la diffusione del virus.
Non possiamo permettere che il comparto venga penalizzato dalla chiusura di quelle aziende che rientrano nelle zone infette I e II in continuo ampliamento” – continuano i presidenti – “siamo certi che la nostra richiesta verrà accolta nell’interesse di tutti gli attori coinvolti”.
Nel contempo, i presidenti sottolineano di aver chiesto alle rispettive Regioni un consiglio aperto per portare a conoscenza del mondo politico la gravità della situazione e la necessità di urgenti risposte per il comparto suinicolo.

Asti Agricoltura accoglie con favore l’emendamento sulle misure di contenimento della popolazione di cinghiali in Italia approvato dalla Commissione Bilancio della Camera.
La decisione del Governo di procedere con un programma di abbattimenti, la cui realizzazione sarà competenza del Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dei Carabinieri, risponde alle richieste di porre un freno alla diffusione della specie selvatica e va nella direzione auspicata”, commenta il presidente della Confagricoltura di Asti, Gabriele Baldi.
La proliferazione incontrollata di questi animali non è solo una minaccia per le attività agricole e per l’incolumità dei cittadini, come la Confagricoltura di Asti evidenzia da anni, ma è anche il principale viatico del virus della Peste suina africana (Psa), vero incubo per l’intera filiera suinicola italiana. In tal senso è importante che l’emendamento preveda l’analisi igienico-sanitaria dei cinghiali abbattuti.
L’Organizzazione degli imprenditori agricoli comprende e condivide quindi la ratio alla base della decisione di estendere gli abbattimenti alle aree protette e urbane, anche nei periodi di silenzio venatorio e di divieto di caccia. La diffusione senza controllo della specie, ormai presente in molte città italiane, impone interventi di carattere emergenziale.
Confagricoltura giudica positivamente anche il possibile coinvolgimento delle guardie venatorie, dei cacciatori riconosciuti, e degli agenti delle Polizie locali e provinciali con apposita licenza.
La garanzia sulla sicurezza pubblica e sulla liceità e regolarità degli abbattimenti è garantita dalla competenza affidata all’Arma dei Carabinieri.
Positiva anche la visione di lunga durata che ha l’emendamento con la previsione di un Piano straordinario quinquennale di gestione e contenimento della fauna selvatica” aggiunge il direttore di Asti Agricoltura, Mariagrazia Baravalle.

Confagricoltura accoglie con favore l’emendamento sulle misure di contenimento della comunità di cinghiali in Italia approvato dalla commissione Bilancio della Camera. La decisione del governo di procedere con un programma di abbattimenti la cui realizzazione sarà competenza del Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dei Carabinieri, risponde alle richieste della Confederazione di porre un freno alla diffusione della specie selvatica.
La proliferazione incontrollata di questi animali non è solo una minaccia per le attività agricole e per l’incolumità dei cittadini, ma è anche il principale viatico del temibile virus della Peste Suina (PSA), vero incubo per l’intera filiera suinicola italiana. In tal senso, è importante che l’emendamento preveda l’analisi igienico-sanitaria dei cinghiali abbattuti.
La Confederazione comprende e condivide la ratio alla base della decisione di estendere gli abbattimenti alle aree protette e urbane, anche nei periodi di silenzio venatorio e di divieto di caccia. La diffusione senza controllo della specie, ormai presente in molte città italiane, impone interventi di carattere emergenziale. Confagricoltura giudica positivamente anche il possibile coinvolgimento delle guardie venatorie, dei cacciatori riconosciuti, e degli agenti delle Polizie locali e provinciali con apposita licenza.
La garanzia sulla sicurezza pubblica e sulla liceità e regolarità degli abbattimenti è garantita dalla competenza affidata all’Arma dei Carabinieri. Positiva, infine, anche la visione di lunga durata che ha l’emendamento con la previsione di un Piano straordinario quinquennale di gestione e contenimento della fauna selvatica.
Riportare sotto controllo la diffusione di cinghiali selvatici vuol dire porre un freno alla diffusione della PSA, tra le cause dei gravi danni che il settore suinicolo italiano sta sopportando da molto tempo. La diffusione del virus, infatti, ha spinto vari Paesi a limitare e in alcuni casi, a vietare l’import di prodotti italiani derivati da carni suine.
Il settore in Italia conta quasi 9 milioni di capi, allevati in oltre 30 mila allevamenti. Con un export di 1,5 miliardi di euro nel 2021, il volume di affari totale (produzione degli allevamenti e fatturato dell’industria di trasformazione) sfiora gli 11 miliardi. Complessivamente, la produzione suinicola ed il fatturato dell’industria dei salumi incidono per poco più del 5% sul totale della produzione agricola nazionale e sul fatturato dell’intera industria agroalimentare italiana.

Chiediamo alla Regione di non limitare la caccia al cinghiale; le operazioni di costruzione della recinzione per contrastare la diffusione della peste suina vanno a rilento e questo problema, in alcuni territori, diventa addirittura un motivo per bloccare gli abbattimenti. Il mondo agricolo è esasperato e non può più subire ulteriori danni”. È questo l’appello lanciato dal presidente di Confagricoltura Piemonte Enrico Allasia in seguito alle decisioni della Regine di bloccare la caccia al cinghiale in alcune aree della provincia di Alessandria.
La Regione Piemonte – precisa Confagricoltura in una nota – nel mese di agosto aveva autorizzato l’esercizio venatorio al cinghiale con l’utilizzo di cani in zona di restrizione I e II, nei soli territori in cui fosse stata completata la recinzione e all’esterno della stessa; all’interno della barriera era invece consentito praticare caccia di selezione al cinghiale in forma singola senza cani ed interventi di controllo ai sensi dell’articolo 19 della legge 157/1992.
Tuttavia da settembre, a seguito di una precisa richiesta di alcuni Ambiti territoriali di caccia della provincia di Alessandria (ATC AL4 e AL3), le direzioni regionali competenti in materia hanno comunicato che, dal 2 ottobre, in tutto il territorio dell’ATC AL4 (zona di restrizione I e zona di restrizione II esterne alla recinzione) non è più consentita l’attività venatoria al cinghiale con utilizzo di cani, ad eccezione dei territori ricadenti nelle aziende faunistiche venatorie e nelle aziende agrituristico venatorie. Invece nel comprensorio dell’ATC AL3, in accoglimento della relativa richiesta, non è permessa l’attività venatoria al cinghiale in tutte le sue forme. Analogo divieto vige anche per le aziende faunistiche venatorie e aziende agrituristico venatorie ricomprese nell’ATC AL3.
Per quanto riguarda il restante territorio dell’ATC AL2 in zona di restrizione II a nord della recinzione, della barriera autostradale A26 e del raccordo autostradale, e nel comune di Mombaldone, ricadente nell’ATC AT2 (in provincia di Asti), in deroga a quanto stabilito dal calendario venatorio regionale 2022/2023, sempre dal 2 ottobre 2022 è autorizzata l’apertura dell’attività venatoria al cinghiale in forma di caccia programmata.
Nel territorio intercluso tra la recinzione ovest, le barriere autostradali A26 del raccordo autostradale e dell’A7, compresi i territori ricadenti nelle aziende faunistiche venatorie e nelle aziende agrituristico venatorie, è invece consentita, come da precedente delibera di agosto, la caccia di selezione al cinghiale in forma singola senza l’ausilio di cani, nonché gli interventi di controllo ai sensi dell’articolo 19 della legge 157/1992.
A est della barriera autostradale A7 (zona di restrizione I e zona restrizione II), compresi i territori ricadenti nelle aziende faunistiche venatorie e nelle aziende agrituristico venatorie, dove lo sbarramento provvisorio è ancora da terminare, non è autorizzata alcuna attività venatoria al cinghiale salvo eventuali interventi di controllo d’urgenza disposti dalla Provincia di Alessandria. La caccia, sia in forma programmata sia in selezione, sarà possibile solo dopo la comunicazione di completamento della posa della recinzione.
Siamo spiacevolmente sorpresi da questa decisione – afferma Enrico Allasia – perché dopo le nostre ripetute sollecitazioni, che avevano portato nei mesi scorsi la Regione ad assumere provvedimenti finalizzati a dare impulso all’attività di depopolamento dei cinghiali, ci troviamo ora di fronte a una battuta di arresto francamente poco comprensibile e assolutamente non condivisibile. Porre limitazioni all’attività venatoria non aiuterà certo a migliorare le percentuali di abbattimento, che al momento sono totalmente insoddisfacenti e a risolvere il problema della Psa”.