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La proposta di regolamento sugli imballaggi, ufficializzata con un comunicato stampa della Commissione Europea, conferma tutte le preoccupazioni che già avevamo denunciato e che emergevano da una prima lettura delle bozze circolate informalmente. Si è scelto di mantenere l’impostazione di Regolamento direttamente applicabile quando sarebbe stato opportuno preferire la “direttiva” come strumento legislativo, così da permettere ad ogni Stato Membro di avere più tempo nel recepire il dettato comunitario e più spazio di manovra per identificare specifici bisogni del proprio tessuto imprenditoriale.
Altra criticità che viene confermata è legata all’aumento dei costi che inevitabilmente la ricerca di materiali alternativi (con le alte percentuali di riciclato richiesto) a quelli che vengono banditi, genererà. Enormi e di forte impatto, inoltre, le ricadute in termini di sicurezza alimentare e qualità organolettiche per prodotti considerati tra i più deperibili. Preoccupano, poi, l’esiguo lasso di tempo concesso per il passaggio al bio e al compostabile di alcuni materiali e il divieto di utilizzare imballi monouso per i prodotti ortofrutticoli freschi. Confermate, infine, le rigide disposizioni che regoleranno l’etichettatura degli imballaggi.
Confidiamo che, nel passaggio che attende il provvedimento in Parlamento Europeo e in Consiglio, si possano superare le diverse criticità registrate e che si avvii un percorso condiviso, graduale e armonizzato. Un percorso che è mancato e senza il quale siamo convinti che la transizione enfatizzata nel comunicato della Commissione, non possa dirsi pienamente compiuta e sostenibile perché incompatibile con le esigenze e le peculiarità dei diversi settori e con obiettivi realistici ed economicamente percorribili. Una mancanza di realismo, quella dei commissari, ancora più lampante se si considera la situazione di tempesta perfetta o di “policrisi”, come è stato definito proprio a livello comunitario il complicatissimo contesto climatico, politico, storico ed economico – con tutti i principali input produttivi al rialzo – in cui si trova ad operare il settore primario.

La Commissione UE ha adottato la proposta per l’istituzione di un primo quadro volontario europeo di certificazione di carbonio trattenuto nei terreni. In attesa dell’inizio della discussione del documento in Parlamento e nel Consiglio Europei, Confagricoltura accoglie con favore questo primo passo verso la creazione di un mercato regolamentato, basato sullo scambio delle quote stoccate dell’elemento chimico, responsabile del surriscaldamento terrestre. La Confederazione condivide gli obiettivi che si pone il regolamento: ossia quantificare, monitorare e verificare il risparmio in atmosfera di carbonio.
Positiva anche la previsione di norme per la verifica indipendente della veridicità dei crediti emessi e per l’indicazione di sistemi di certificazione attendibili e conformi al quadro UE.
Bene il riferimento al Fondo per l’innovazione, al Fondo di sviluppo regionale, al programma LIFE e al programma Horizon Europe, quali fonti di finanziamento delle attività di carbon farming. Solo con sostegni economici di medio-lungo periodo si può sostenere la diffusione di pratiche ad hoc per lo stoccaggio di lungo periodo del carbonio dalla biomassa e nel suolo. È opportuno, peraltro, sottolineare che il finanziamento del carbon farming non deve sottrarre fondi alla PAC.
La Confederazione giudica con favore anche il riferimento al riconoscimento della capacità di stoccaggio per materiali edili a base legnosa. Un aspetto, questo, che sostiene il ruolo che le aree boschive e forestali, insieme agli altri comparti agricoli, devono avere nell’attività di carbon farming. Le foreste, infatti, assorbono ogni anno circa 40 milioni di tonnellate di C02: una quantità (pari al 10% dei gas a effetto serra emessi in Italia) che supera di circa 10 milioni/t le emissioni totali del settore agricolo”.
Confagricoltura chiede da tempo la regolamentazione e certificazione del settore del carbon farming. Solo con regole certe e condivise, le aziende agricole possono fare la propria parte nel raggiungimento degli obiettivi climatici e ambientali fissati nel Green Deal europeo.
Nel 2020 il mercato del carbon farming ha riguardato circa 190 milioni di tonnellate di C02. Quantità che si punta a moltiplicare di 15 volte entro il 2030.

L’ultimo rapporto mensile sul commercio agroalimentare, pubblicato il 26 ottobre scorso dalla Commissione Europea, mostra che la bilancia commerciale dell’UE è stabile a 4,9 miliardi di euro.
In particolare, le esportazioni hanno raggiunto un valore di 19,2 miliardi di euro, mostrando una riduzione del 2% su base mensile e un aumento del 14% rispetto a luglio 2021. L’UE rimane il primo esportatore agroalimentare al mondo.
Le importazioni hanno raggiunto un valore di 14,3 miliardi di euro, il 2% in meno rispetto a giugno ma con un aumento del 33% rispetto a luglio 2021. Le importazioni dell’UE dall’Ucraina continuano a crescere per il quarto mese consecutivo e sono aumentate anche le importazioni dell’UE dai principali partner commerciali come Brasile e Stati Uniti.

Il rapporto è consultabile a questo link.

La Commissione Europea ha pubblicato il documento riassuntivo della consultazione pubblica sull’utilizzo delle nuove Tea (tecnologie di evoluzione assistita delle piante). Quasi l’80% dei partecipanti alla consultazione ha ritenuto che le disposizioni normative vigenti sugli ogm non siano adeguate alle piante ottenute mediante mutagenesi o cisgenesi mirata. Questo punto di vista è stato espresso anche da buona parte del mondo della ricerca, dalle associazioni imprenditoriali e dalle autorità pubbliche, nonché dalla maggioranza dei sindacati.
Emerge quindi in modo netto la richiesta a Bruxelles di modificare la legislazione in materia che risale al 2001, quando queste tecnologie non esistevano nemmeno.
Anche sulla base di questo risultato la Commissione Agricoltura della Camera, ha raccomandato che il che il nuovo Parlamento italiano prosegua il lavoro normativo per lo sviluppo delle tecniche innovative di evoluzione assistita, dal momento che l’Italia possiede tutti gli strumenti necessari per essere un Paese leader in questo campo.
Confagricoltura auspica che la volontà dei cittadini europei sia tenuta nella giusta considerazione perché se si vogliono rispettare gli obiettivi ambientali posti a livello comunitario e globale e produrre sempre più cibo con sempre meno input, l’unica risposta può che provenire dalla ricerca.

La Commissione Europea ha formalizzato una proposta di regolamento tendente a equiparare gli allevamenti zootecnici alle attività industriali in tema di emissioni ambientali. In pratica si vorrebbe estendere agli allevamenti di bovini con oltre 150 capi la direttiva sulle emissioni industriali, una scelta in controtendenza con le ultime evidenze scientifiche, che dimostrano l’invarianza dell’allevamento bovino in quanto a emissioni di gas climalteranti.
In particolare per gli allevamenti italiani, fra i più efficienti in Europa, l’allevamento di bovini fornisce un contributo positivo al sequestro di carbonio.
Per queste ragioni, Confagricoltura, pur condividendo l’obiettivo della Commissione di ridurre i gas serra e l’inquinamento nel suolo e nell’acqua, ritiene che ci si debba opporre a questa proposta che rischia di mettere a repentaglio la sostenibilità del settore zootecnico.