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Oltre al dramma umanitario, l’inizio delle ostilità in Ucraina sta anche causando un dramma dal punto di vista commerciale ed economico. Tra le conseguenze nefaste che si stanno registrando in seguito allo scoppio della guerra vi è anche il vertiginoso incremento del prezzo delle materie prime agricole. Mais e grano tenero sono i prodotti agricoli che maggiormente dipendono dalle importazioni da Russia e Ucraina e il prezzo di queste commodities è destinato a salire ulteriormente, mentre al momento non si registrano variazioni sul grano duro, quello destinato alla produzione della pasta, il cui prezzo risente soprattutto della mancata produzione in Canada e dei rincari dei costi di produzione.
Nelle ultime ore – rilevano i tecnici della Confagricoltura di Asti – si è registrato un aumento che sfiora il 10% per il grano. Per mais e soia l’incremento è, rispettivamente, del 5% e del 4%.
Sull’andamento delle quotazioni – sottolinea il presidente di Asti Agricoltura Gabriele Baldiincide prima di tutto il blocco dell’attività nei porti dell’Ucraina. I mercati riflettono l’assoluta incertezza sui tempi e sulle modalità per la ripresa delle esportazioni di prodotti agricoli”.
Questa guerra sta generando problemi insostenibili per tutto il comparto agricolo, in modo particolare per gli allevatori, che rappresentano sicuramente la categoria maggiormente danneggiata”, afferma Enrico Masenga, coordinatore del settore tecnico della Confagricoltura di Asti. “Dall’aumento del prezzo dei cereali – alla base di tutti i mangimi animali – deriva un innalzamento dei costi di alimentazione che si attestavano già su valori elevati. Ne consegue quindi una perdita netta per ogni capo allevato e una forte difficoltà da parte delle aziende a sostenere i costi di allevamento”.
Stessa sorte anche per i produttori di cereali che non riescono a beneficiare di questi aumenti in quanto sono costretti a fare i conti con un incremento di gas e petrolio che ha fatto lievitare considerevolmente i costi di produzioni, in modo particolare per quanto riguarda i concimi. “Il grano è aumentato del 30% (20% in più rispetto allo scorso anno con un ulteriore incremento del 10% dallo scoppio della guerra) – continua Masenga – mentre i concimi sono aumentati del 250%: ci troviamo quindi di fronte ad un saldo totalmente negativo. Rispetto agli anni precedenti, l’aumento dei costi va ad erodere il maggiore introito ricavato dalla vendita”.
All’aumento dei costi, si aggiunge anche la tensione nei Paesi che sono i principali destinatari dei cereali prodotti in Ucraina e nella Federazione Russa”, dichiara Mariagrazia Baravalle, direttore di Asti Agricoltura. “E’ il caso dell’Egitto e della Tunisia, dove le scorte disponibili sono in grado di coprire il fabbisogno interno fino a giugno. Inoltre, sono state riviste al ribasso le previsioni relative ai raccolti di cereali in Argentina e Brasile a causa di una stagione particolarmente secca”.
Auspichiamo in tempi brevi un piano di ripresa per arginare l’impatto della crisi in atto per sostenere i redditi degli agricoltori tagliati dalla crescita dei costi di produzione, salvaguardando il potenziale produttivo del sistema agroalimentare europeo”, affermano il presidente Baldi e il direttore Baravalle. “La riduzione della produzione avrebbe effetti particolarmente negativi sull’inflazione”.

L’aumento dei costi dell’energia, degli imballaggi e delle materie prime freneranno l’economia, ripercuotendosi sulle tasche dei consumatori e minacciando la competitività dei settori produttivi. Il rischio è il blocco della ripresa, che l’Italia non può permettersi.
L’Italia sconta un forte deficit energetico: importiamo il 73,4% dell’energia consumata in Italia, con valori del 93% per il solo gas, con le rinnovabili che arrivano soltanto al 20% del fabbisogno. L’aumento dei prezzi per i prodotti da origine fossile, insieme alla necessità di affrontare i cambiamenti climatici e contrastare l’inquinamento spingono con forza verso un’indispensabile transizione energetica, che punti sulle fonti rinnovabili Made in Italy.
Occorre tendere all’autosufficienza, valorizzando il settore agricolo anche nel suo ruolo di produttore di energia verde. In particolare il biometano è una grande opportunità per contribuire alla transizione energetica ed alla decarbonizzazione, diminuendo le importazioni di metano per le aziende agricole e utilizzando la rete gas come vettore di energia rinnovabile.
La crescita dei costi delle materie prime, dal mais alla soia, dall’acciaio ai fertilizzanti, che va dal 20 al 60% è un forte campanello di allarme perché siamo fortemente dipendenti dall’estero.
Il rischio concreto è quello di una forte impennata dei prezzi alla fonte e al consumo già a partire dall’autunno e si deve agire velocemente con politiche a salvaguardia della competitività.