Fauna selvatica: Asti Agricoltura ringrazia la Provincia di Asti per le azioni intraprese, compreso lo studio su una possibile filiera della carne di cinghiale. No a referendum contro legge sulla caccia

Continua l’infausto compito degli agricoltori di quantificare i danni provocati dalla fauna selvatica, in modo particolare da cinghiali e caprioli. I danni nell’ultimo anno sono aumentati a livello esponenziale, complici i vari lock-down (soprattutto quello primaverile dello scorso anno) che hanno favorito una maggiore proliferazione di questi animali, dovuta ad una quasi assente circolazione di mezzi e di persone. Un grande problema non solamente per le colture agricole, ma anche per la viabilità su strada, la quale negli ultimi anni è stata teatro di parecchi incidenti, talvolta anche mortali.
I provvedimenti di chiusura stabiliti dal Governo per contrastare la pandemia hanno inoltre rallentato il controllo su questi ungulati e causato sospensioni all’attività venatoria, compreso il contenimento. Proprio da questa ultima attività è arrivata la risposta più concreta come si evince dai dati comunicati dalla Provincia di Asti, dai quali emerge che sono state organizzate più di 1000 battute di caccia specifiche che hanno portato all’abbattimento di 1431 cinghiali sul territorio astigiano nel 2020 e di altri 297 nei primi mesi del 2021.
Il presidente di Asti Agricoltura Gabriele Baldi ha elogiato questa lodevole iniziativa, ringraziando la Provincia di Asti per l’impegno profuso: “Ringraziamo e ci complimentiamo con la Provincia per i risultati raggiunti e per altre iniziative atte a fronteggiare questo flagello, come ad esempio le gabbie per la cattura dei cinghiali di recente sperimentazione anche sul nostro territorio”, ha affermato Baldi. “Adesso non bisogna abbassare la guardia, ma anzi proseguire con quest’opera di abbattimento in modo ancora più massiccio e incisivo per riuscire a contenere questo problema e salvaguardare il nostro territorio”.
Siamo di fronte a una vera e propria emergenza che richiede la collaborazione di tutti gli attori locali in modo tale da dare una risposta immediata sia al comparto agricolo che a tutta la collettività”, ha dichiarato il direttore di Asti Agricoltura Mariagrazia Baravalle. “Chiediamo adeguati indennizzi per i danni diretti e indiretti che subiscono le aziende agricole e auspichiamo una semplificazione delle procedure per la valutazione dei danni e del conseguente tempestivo ristoro”.

Filiera della carne di cinghiale

Nell’ottica di un eventuale coinvolgimento diretto dell’agricoltore, nei giorni scorsi si è parlato anche di filiera della carne di cinghiale. Durante un incontro (in videoconferenza) ci si è soffermati sulla necessità di coinvolgere anche macellai, agriturismi e ristoranti, tramite una promozione mirata prendendo spunto da altri progetti già preesistenti in Italia. Allo stato attuale permangono però ancora diversi ostacoli legati in parte alla difficoltà di fare rientrare l’attività di macellazione e vendita di carne di fauna selvatica nell’ambito di una attività agricola o connessa e, dall’altra, all’assenza ad oggi di una filiera che sia in grado soprattutto di acquistare e/o utilizzare il prodotto.
E’ evidente come siamo favorevoli ad ogni iniziativa che possa ridurre la pressione dei capi sul territorio portando nel contempo benefici agli agricoltori che, loro malgrado, sono coloro che ‘sfamano’ i cinghiali dal momento che questi ultimi si cibano del prodotto seminato dagli agricoltori medesimi”, ha affermato il presidente Baldi.

Referendum sulla caccia

Posizione molto critica da parte di Confagricoltura in merito all’apertura da parte della Corte di Cassazione verso un eventuale iter che porterebbe alla promulgazione di un referendum abrogativo della legge sulla caccia (157/1992).
Secondo il direttore Baravalle: “Se malauguratamente venisse abrogata la legge, si creerebbe un preoccupante vuoto normativo. Le imprese agricole sarebbero invase da una fauna selvatica completamente fuori controllo, con una crescita di rischi anche per i cittadini. E’ necessario mettere da parte una mentalità ambientalistica troppo radicale e poco ragionata e rimettere al centro l’interazione tra natura ed economia, valorizzando contemporaneamente la biodiversità e le attività produttive locali che coesistono da sempre”.