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L’Ispra ha pubblicato sul proprio sito internet le indicazioni per la gestione della Psa: https://www.isprambiente.gov.it/it/news/primo-caso-di-peste-suina-africana-psa-per-l2019italia-continentale
Secondo l’Ispra “la comparsa del virus è totalmente indipendente dalle densità di cinghiale” e ancora “La densità del cinghiale non ha effetti significativi sulla persistenza in natura della Peste suina africana”. Inoltre l’Ispra sostiene che “Secondo le simulazioni effettuate, per poter rallentare significativamente la diffusione della Peste suina africana si dovrebbe rimuovere nel brevissimo periodo la quasi totalità della popolazione di cinghiale (circa il 90%), obiettivo irrealistico da raggiungere nella gran parte dei contesti presenti sul territorio nazionale”. In pratica l’Ispra non fornisce nessuna indicazione concreta per la soluzione del problema.
Decisamente più definita la posizione del Ministero della Sanità, esplicitata nel Manuale Operativo Pesti Suine Rev. n. 2 del 21 Aprile 2021. In particolare, a pagina 26 del documento, si legge che “Al di fuori della ZONA DI SORVEGLIANZA (o ZONA ADDIZIONALE DI SORVEGLIANZA), la caccia al cinghiale si svolge come da normativa venatoria e senza alcuna restrizione. Tuttavia la complessiva strategia di eradicazione prevede un ingente sforzo di depopolamento da operarsi sia tramite cacciatori sia tramite operatori abilitati in dipendenza dell’organizzazione locale. Un’efficace opera di depopolamento si raggiunge quando vengono abbattuti il doppio dei cinghiali abbattuti normalmente durante l’attività venatoria”.

Procede senza sosta il consumo di suolo agricolo. “Edificazioni civili, opere pubbliche e nuovi insediamenti produttivi – chiarisce il presidente di Confagricoltura Piemonte Enrico Allasia, confermato oggi dall’Assemblea alla guida dell’organizzazione per i prossimi tre anni – in trent’anni hanno eliminato il 20% della superficie agricola utilizzata per l’espansione delle città e delle infrastrutture, per il degrado delle aree periurbane e per l’abbandono dei territori collinari e montani”.
Il problema – come evidenzia in una nota Confagricoltura – è acuito dalla combinazione del degrado del suolo, dell’erosione e dei cambiamenti climatici che ridurrà sensibilmente i raccolti, se non si interverrà con determinazione. Il suolo è un bene prezioso e non riproducibile: se si riduce la superficie destinata all’agricoltura diminuisce la possibilità di produrre cibo, mentre la popolazione mondiale aumenta e richiede sempre maggiori derrate alimentari.
L’anno scorso, in base alle rilevazioni dell’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – si sono “persi” 21.400 chilometri quadrati sul territorio totale italiano. Questo significa che nel nostro Paese ogni giorno il suolo artificiale impermeabilizzato aumenta di 2 metri quadrati al secondo.
Nella nostra provincia – spiega il direttore di Confagricoltura Asti Mariagrazia Baravalle che ha voluto verificare il dato a livello provinciale – abbiamo consumato e quindi impermeabilizzato 13,2 ettari. È una superficie importante. Per rendere l’idea consideriamo che un campo da calcio, solo per quanto riguarda il terreno di gioco, ha una superficie di 7.140 metri quadrati: questo significa che nel 2019 nel nostro territorio abbiamo consumato una superficie di poco superiore a 18 nuovi campi da calcio”….

Ispra ha presentato l’Annuario dei dati ambientali 2019, un quadro aggiornato sullo stato di salute del nostro Paese.
L’Italia risulta tra i Paesi europei più ricchi di biodiversità e con livelli elevatissimi di endemismo (specie esclusive del nostro territorio); un patrimonio che vede però alti livelli di minaccia per flora e fauna.
Nel complesso, il sistema delle aree protette nazionali/regionali, insieme alla Rete Natura 2000, copre un’estensione superiore ai 9 milioni di ettari (pari a circa il 30% della superficie nazionale).
Quanto allo stato di salute della fauna in Italia, tra i vertebrati sono i pesci d’acqua dolce quelli più minacciati (48%), seguiti dagli anfibi (36%) e dai mammiferi (23%), mentre tra le piante più tutelate dalle norme UE, il 42% è a rischio.
Le minacce più gravi vengono dal costante aumento delle specie esotiche introdotte in Italia (più di 3300 nell’ultimo secolo), nonché dal degrado, dall’inquinamento e dalla frammentazione del territorio.
In merito al consumo di suolo, il rapporto evidenzia come continui a gravare sulla perdita di biodiversità, con 23.000 km2persi ad una velocità di quasi 2 m2/sec tra il 2017 e il 2018. Sebbene il fenomeno mostrasse segnali di rallentamento, probabilmente a causa della congiuntura economica, dal 2018 il consumo di suolo ha ripreso a crescere.
Il territorio italiano risulta fortemente esposto anche al dissesto idrogeologico, con quasi 1,3 milioni (pari al 2,2% del totale) di abitanti residenti in aree esposte al rischio frane con pericolosità elevata e molto elevata.
Rispetto all’Europa, l’Italia cresce molto di più nell’uso circolare dei materiali, risultando terza per la cosiddetta “produttività delle risorse”, un indice usato in Europa per descrivere il rapporto tra il livello dell’attività economica (prodotto interno lordo) e la quantità di materiali utilizzati dal sistema socio-economico (CMI – consumo di materiale interno).
In merito alle emissioni di gas serra, in Italia è stata registrata una diminuzione del 17,2% nel medio periodo (1990-2018). Nel primo trimestre di quest’anno, a causa del lockdown, si stima una riduzione dei gas serra del 5,5%, a fronte di una variazione del PIL pari a -4,7 %. Nel 2018 la diminuzione era stata dello 0,9%, rispetto all’anno precedente e per il 2019 la tendenza è di una riduzione del 2,0% rispetto al 2018.
Per quanto riguarda la quota di energia da fonti rinnovabili, questa è risultata pari al 18,3% rispetto al consumo finale lordo, valore superiore all’obiettivo del 17% da raggiungere entro quest’anno. Prossimo obiettivo da raggiungere sarà il 32% entro il 2030.
Per i rifiuti urbani si stima per il 2019 una produzione pari a quella del 2018, mentre gli scenari al
La situazione rimane preoccupante anche per gli inquinanti atmosferici. In particolare, il Bacino padano è una delle aree dove l’inquinamento atmosferico è più rilevante in Europa. Guardando ai dati del 2019, il valore limite giornaliero del PM10 è stato superato nel 21% delle stazioni di monitoraggio (50 microgrammi per metro cubo, da non superare più di 35 volte l’anno). Rispettati invece i limiti per i PM2,5 nella maggior parte delle stazioni di rilevamento.
Per quanto riguarda infine le sostanze chimiche, a preoccupare sono soprattutto i prodotti fitosanitari: nelle acque superficiali il 24,4% dei punti monitorati mostra concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientale, mentre il 6% presenta non conformità nelle acque sotterranee.
Secondo l’ultimo rapporto ISPRA, nel 2018 sono stati immessi in commercio circa 114 mila t di prodotti fitosanitari, con una diminuzione del 12% rispetto al 2014, anno di entrata in vigore del Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN); mentre estendendo il periodo, dal 2011 al 2018, la riduzione è stata di quasi il 20%.